Una colpa mai espiata

Estate di oltre 30 anni fa.
Una spiaggia ligure.
Siamo un gruppo di amici che trascorre la domenica pomeriggio.
Siamo seduti sul lungomare.
Ad un certo punto uno di noi lo nota.
E’ lui. E’ G.
In paese (perchè allora era solo un paesone con ambizioni, oggi
soddisfatte, di città) lo conosciamo tutti.
E’ un ragazzo un po’ strano. Un po’ ritardato ci dicevamo.
Non era esteticamente evidente eppure bastavano due minuti di
vicinanza e subito di accorgevi che se la media era 100 lui era
fermo a 99.
Era oggetto della derisione di tutti i ragazzi e certo noi… noi non eravamo da meno.

“Cavolo… anche qui lo becchiamo… Guardalo!! Guardalo come
corre…!! Com’è disarticolato, sciancato… e come se la ride…
sembra proprio un deficiente.
Speriamo che non dica da dove viene… che ci sputtana tutti”.
E giù le risate di tutti, i lazzi, gli sfottò; la crudeltà di un’età
che non ha ancora fatto i conti con la durezza della vita.

Stiamo ancora starnazzando quando improvvisamente dalla panchina di fianco, silenziosa, come materializzatasi dal nulla, si alza una signora.
Va verso il bordo della spiaggia e con delicatezza, con amore dice: “G. vieni che andiamo via!! E’ tardi!!”

Quella donna è sua madre.

Non so quante volte nella vita avrò desiderato sparire o morire.
Sicuramente quel giorno fu una di quelle volte.

Improvvisamente tra noi ragazzi cala l’enormità della cattiveria del nostro comportamento. La stupidità di chi da’ fiato alla gola con il cervello spento.
Per qualcuno è un attimo. Con uno sghignazzo si seppellisce l’imbarazzo.
Io invece questo ricordo ce l’ho ancora vivo e spesso riemerge in me.
Dopo oltre 30 anni.

Non ci disse nulla, sua madre.
Minuta, magrolina, dimessa. Prese suo figlio e si allontanò da noi.

Spesso ripenso al dolore che può aver provato in quel momento.
Spesso ripenso a quante volte un dolore simile ha accompagnato la sua vita a causa di uno sguardo altrui, un accenno, un risolino.

Credo che lei fosse ben conscia che suo figlio non fosse definibile normale.
Oggi, con maggior attenzione ai termini (ma non alla sostanza), diremmo diversamente abile.
Ma questo non le ha impedito, nè impedisce tutt’ora, il suo incondizionato amore di mamma; i sogni per il futuro del suo ragazzo, le speranze che magari un domani qualcosa possa cambiare, l’angoscia di cosa ne sarà di lui quando lei dovesse andarsene per sempre.

Ancora oggi li vedo passeggiare per la città.
Lei sempre minuta, con i capelli bianchi, ormai vedova, sempre sottobraccio al suo ragazzo.
Lui, un po’ sfatto, ormai stempiato; un uomo di oltre 40anni ma con dentro sempre l’animo del bambino, talvolta verbalmente aggressivo nei confronti della mamma.

Ma lei è li. Non lo abbandonerà mai; almeno finchè la vita glielo permetterà.

Tante volte avrei voluto avvicinarmi a quella donna, parlarle, scusarmi.
Scusarmi per l’insensibilità, la gratuità di quelle affermazioni assolutamente inutili.
Lei non mi conosce e forse neanche ricorderà questo piccolo evento diluito in un mare di altri eventi simili che avrà dovuto superare, sopportare.
Chissà tra le mura domestiche quante lacrime avrà versato.
Chissà se alcune di quelle sono state versate anche colpa mia.

Quel giorno fu per me una grande lezione di cui ho fatto tesoro negli anni e negli incontri a venire.

Ancora ora, ripensandoci, provo una stretta al cuore ed un senso di commozione.

Spero che lei mi abbia potuto perdonare perchè io non ci sono ancora riuscito.

Una colpa mai espiataultima modifica: 2010-08-17T17:22:00+02:00da alphaomeg
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